Ho iniziato a “fotografare al museo” nella seconda metà degli anni ottanta, spinto dall’ossessione di rivedere i volti di quelle statue tra la gente romana. Dopo un po’ di anni ho capito che quei ritratti dei busti romani nella sala degli Imperatori e nella sala dei Filosofi dei Musei Capitolini erano un modo per salvarmi dall’imponente bellezza, spesso troppo frustrante e claustrofobica, di Roma. Poi la passione mi ha preso la mano e ho passato albe nei musei chiusi prima delle fatidiche entrate dei turisti, da solo a isolare volti troppo spesso visti da moltitudini in una moltitudine di buste, e poi i giorni da solo all’Istituto Centrale del Restauro con il Satiro Danzante di Mazara del Vallo, e di nuovo i busti, romani e risorgimentali, e pochi mesi fa il cavallo di bronzo di vicolo delle Palme.
E da pochi giorni ho riletto un testo di Valerio Magrelli pubblicato in un piccolo libro sui ritratti dei busti romani: “Temistocle, un personaggio del De oratore invitato ad apprendere i segreti della mnemotecnica, risponde di preferire all’arte di ricordare quella di dimenticare. Dunque dimentichiamo, Cicerone, volto senza pupilla, pupillo dell’oblio”.
E qui il problema centrale è messo in evidenza e si riallaccia alle due foto pubblicate in questo volume: il ricordare tramite la profondità della pupilla. Le mie fotografie sono fatte per ricordare (esemplare il caso del busto di Alessandro Severo ora completamente bianco e pulito, mentre io ho lavoraro anche sulle sporcature novecentesche di una statua nata policroma) e dalla profondità della pupilla, dell’incavo della pupilla, nasce quella breve vita che cerco quando guardo i busti, e soprattutto le poche volte che decido di fotografarli o rifotografarli.