Fotografare Roma per una persona che vi é nata e vi ha sempre vissuto é difficile. Ho cercato una visione personale di una città che nessuno riuscirà mai a capire e a vedere nelle sue complessità. Per me é sempre un luogo sempre pieno di rivelazioni, « apparizioni ».
Ho attinto ai miei ricordi: la Roma degli anni ’70 quando è iniziata a formarsi la mia identità e iniziavo a conoscerla. Dalla memoria sono riemerse scritte, molte al neon : il cinema America, il Messaggero, rovesciato, cinodromo e ippodromo, la pista dei go-kart, e « al biondo tevere ». Ho aspettato mesi e mesi che il sole arrivasse nella posizione « giusta » dietro la scritta: quel giorno e quell’ora, e ho sperato che in quei due passaggi annuali non vi fossero le nuvole. Volevo che il sole nero, moderno Nerone, bruciasse tutto e restituisse solo la scritta.
La luna piena mi ha dato un rapporto con la città ancora più individuale. Finivano i rumori e cercavo zone buie. la città illuminata era lontanissima o coperta. Anche qui ho cercato tra i ricordi personali e la storia della città : il Palatino, la via Appia, l’agro romano e un suo misterioso acquedotto, Villa Medici, piena di ricordi personali, l’EUR e il suo luna park, luogo dell’adolescenza. E ho usato tempi lunghissimi, metafora del lungo tempo di vita della città, per foto gestuali dove le mie mani, e tutto il mio corpo, erano parte decisiva dell’immagine finale: quei lunghi secondi di attesa della formazione della fotografia erano immersioni totali nella mia città.
Photographing Rome is difficult for someone who was born there and has always lived in the city. I sought a personal vision of Rome that nobody will ever manage to understand and see in its entirety. For me, it is always a place full of revelations and “apparitions”.
I drew on my memories: the Rome of the 1970s, when my identity started to take shape and I started to get to know the city. Signs re-emerged from my memory, many of them neon – the America cinema, Il Messaggero, reversed, the dog and horse racing tracks, the go-kart track, and “Al Biondo Tevere”. I waited months and months for the sun to reach the “right” place behind the sign: that particular day and that particular hour, hoping that it wouldn’t be cloudy during those two annual transitions. I wanted the black sun to burn everything, like a modern-day Nero, leaving only the sign.
The full moon gave me an even more individual relationship with the city. The noises stopped and I sought dark areas. The illuminated city was far away or hidden. Here too I sought among my personal memories and the city’s history: the Palatine, the Appian Way, the Roman countryside and one of its mysterious aqueducts, the Villa Medici, brimming with personal memories, the EUR district and its funfair, a place of my teenage years. And I used very long exposure times, a metaphor of the city’s long lifetime, for gestural photographs where my hands, and my entire body, were a fundamental part of the final image – those long seconds of waiting for the photograph to take shape were full immersions in my city.