I tuoi precedenti lavori sono nati anche da un’esigenza biografica. Insomma, stavolta, perché proprio Asinara?
Sì, in effetti anche i miei precedenti lavori sono sempre partiti da un aspetto biografico. Per esempio, i ritratti dei cardinali. Pensa che alcuni credevano mi fossero stati commissionati dal Vaticano, invece tutto è nato fotografando uno zio di mio padre, Enea, che aveva sposato i miei genitori nel 1956. Peraltro, all’inizio degli anni Settanta, i miei genitori sarebbero diventati atei. E allora dopo quel ritratto, ho iniziato a fotografare i cardinali in pensione o alla fine della loro vita, come appunto Enea.
E così è nato pure questo lavoro all’Asinara. Premetto che non ero mai stato all’Asinara. Sono di origine sarda, e sono stato molte volte in Sardegna, mai però all’Asinara, avevo guardato l’Asinara soltanto da Stintino. Ho deciso di fotografare l’isola, di notte. Ho chiesto le autorizzazioni per soggiornare – visto che è un parco nazionale – nei giorni tra il 5 e l’11 agosto 2017, durante una settimana di luna piena. Non appena sono arrivato, mi ha impressionato la scritta su un edificio: Alto commissariato per l’igiene e la sanità pubblica. Mio padre, nella sua carriera politica, si è occupato soprattutto di igiene e sanità pubblica, di piani sanitari nazionali e regionali, di prevenzione; e la scritta che mi è apparsa sul primo edificio, nella luce di mezzogiorno, evidenziava proprio quello di cui mio padre si era occupato in vita. Le prime due fotografie sono le uniche scattate di giorno.
Sì, sono le uniche immagini diurne. Lì si nota la presenza degli asinelli. L’asinello è un animale che mi dà sempre una sensazione di antichità, un animale fuori dal tempo, sopravvissuto ai secoli, ma di una vitalità sospesa. Ecco, poiché tutto entra in qualche modo nell’immagine, soprattutto ciò che non si vede, vorrei sapere quale influenza hanno avuto i suoni notturni nel tuo lavoro. Cosa ascoltavi mentre fotografavi di notte? Te lo chiedo perché le fotografie, pur essendo notturne, non danno una sensazione di minaccia, ma al contrario di equilibrio, di pausa, di pace dalla luce.
Noi viviamo per lo più immersi in un inquinamento visivo, circondati dalla luce, la luce dei lampioni, delle case. Però l’occhio si abitua velocemente alla notte. E poi, grazie alla luce lunare, non era completamente buio, infatti nelle immagini ci sono le ombre. Fotografare in quelle condizioni toglie il superfluo, vedi le cose senza sentire nulla, senza sentire le voci delle persone, solo un po’ il mare, gli uccelli notturni, e ascolti soprattutto il vento. Poi, l’ultima notte, è arrivata la pioggia.
Se penso alla parola Asinara, la associo, più che all’isola, al supercarcere. Supercarcere, parola piuttosto brutta, mi fa venire in mente l’epoca di transizione tra gli anni Settanta e Ottanta. Supercarcere appartiene al vissuto mediatico. Ma Asinara è stata molto altro, prima che il supercarcere fagocitasse la storia precedente, a cui tu, in qualche modo, hai ridato vita.
Certo, l’Asinara prima di essere adibito a supercarcere – per banditi sardi, terroristi di destra e di sinistra, mafiosi – è stato un carcere; tra l’altro è diventato supercarcere non per le particolarità dell’edificio…
Un supercarcere naturale, l’isola di un’isola.
Infatti, tant’è che è stato, in precedenza, campo di prigionia, colonia penale, e ancor prima colonia agricola, lazzaretto. Ma pur conoscendo la storia dell’isola – un secolo fa lì sono morti, alla fine della Prima Guerra Mondiale, 7200 ungheresi – ho cercato di sgombrare la testa dal passato. Gli asinelli, gli animali, mi hanno aiutato. Gli animali purificano i luoghi. I seicento asini presenti sull’isola sono nati lì, mentre i cavalli sono stati portati nel corso degli anni. Dopo la chiusura del supercarcere, dopo la dismissione in generale di ogni attività, li hanno lasciati lì e si sono riprodotti. Le pecore e le capre, invece, le hanno portate via.
E ora Asinara è un parco nazionale. Altra locuzione ambigua, che anestetizza, che ci conduce lontano dal luogo. Eppure tu fotografando di notte, rendi abitabile Asinara. Anche perché fotografi il checkpoint del carcere, il bunker; ma ormai, spogliati dalla loro funzione originaria, non sembrano più nulla; il vecchio checkpoint del carcere, sotto quella luna, fa tenerezza, gli si vuol bene. È il destino delle rovine, riportarci alla vita. Sarà a causa dell’ambientazione notturna, ma queste rovine pare conservino, più che la vita passata, la possibilità di un inizio.
Sì, alla fine fotografare è soprattutto questo. Cerco di trovare un linguaggio che aderisca alla mia esistenza, di usare la luce della luna che cambia. Il colore della luce lunare è più forte dei nostri tentativi di personalizzazione. Io sono arrivato sull’isola con mio figlio di un anno e con mia moglie. Non consideravo l’isola un luogo di dolore né un approdo. Ignoravo cosa avrei fotografato. Ho evitato di vedere immagini dell’isola tratte dalla Rete. Sono andato lì per fotografare in piena libertà, stare bene in quelle notti e sedare l’arrivo dell’ansia. Non ho usato il cavalletto, ho lavorato a mano libera, il movimento che si vede in quelle fotografie e’ il movimento del mio corpo.
Giorgio Falco (scrittore) La possibilità di un inizio, intervista a Marco Delogu su Linea Bianca, maggio 2018