Questo lavoro parte dall’archivio della fototeca, e incrocia una storia e un bisogno personale.È un doppio cammino tra memoria personale e memoria storica, tutto dentro le mura. Ho scritto della “bellezza” di Roma, ho scritto come un fotografo o un artista visivo che è nato e vive a Roma, ha difficoltà con la reinterpretazione della bellezza. Per me che sono l’unico romano di questo gruppo di sei fotografi è impossibile non legare questo lavoro ad una storia personale: una “camminata” da porta S. Sebastiano alle rive del fiume. Parto dai ricordi della mia infanzia, la porta vicino alla mia scuola, quella che conduce il parco dell’Appia sino al centro della città. E in questa parte della città arriva una scoperta capovolta: villa Mills, uno strano caso di architettura neogotica realizzata da un eccentrico inglese nella prima metà dell’ottocento, e poi abbattuta nel primo novecento, scoperta simbolo della “conservazione”, del rapporto tra la romanità e il tempo.
Lavoro con le piccole polaroid perchè mi ricordano le foto “istantanee” degli anni ’60. La tecnica è legata da una parte all’idea e da un’altra a un mio percorso personale (il mio ultimo lavoro “soli neri” è fatto con la polaroid 6×6). E riparto dai soli neri in questa strana camminata, dove cerco di prendermi molte libertà “infantili”; cerco di togliere quell’aspetto un po’ seriale che ha caratterizzato il mio lavoro.
Il sole nero si sostituisce agli occhi del fotografo quando guardava dall’alto la porta S. Sebastiano.
Oggi è la domenica di metà maggio e fotografo la porta sud a metà giornata.
Cammino davanti alla scuola “Giardinieri” dove ho passato il mio tempo dai 3 ai 9 anni. Tutto è uguale, anche i cartelli di ferro S.P.Q.R., e la scuoletta prefabbricata degli anni ’60, che è provvisoria da oltre quarant’anni. Resiste un’aria immutabile. Abbandonati in un cortile trovo due sedie e un banco che hanno arredato le mie classi. E poi penso a mia madre che mi accompagnava e mi veniva a prendere nella scuola a tempo pieno, (quando piangevo per piccoli oggetti persi, o quando rapirono un lontano zio, e poi ancora Valerio che rompeva il vetro della porta in uno strano tentativo di imitazione cinematografica). All’alba e al tramonto cammino da solo sul colle Palatino. Non penso molto, mi godo questo strano privilegio, cerco la villa Mills.
A Roma la questione del tempo poi è un pò pazzesca: nasciamo già vecchi, con quel cinismo di aver già visto e fatto tutto (la cui espressione migliore rimane la leggenda metropolitana del tassista che dice ai primi deputati leghisti del ’94: “ quando voi stavate ancora nella caverne, noi già eravamo froci”), da cui mi salva solo la mia ereditata sarditudine (che nel mio caso significa determinazione, dubbi, e volontà di scoprire) e viviamo in un mondo dove a 50 anni siamo ancora considerati dei bambini. Roma è un pò così, una città ferma, dove il dinamismo è spesso annientato anche da un’antica bellezza. Il tempo quindi è fermo. Questo è anche bello in alcune fasi, variabili della vita. Ti intrappola ma ti dà una strana certezza ogni volta che ritorni in città (e sì, le mura son nate per proteggersi e noi lavoriamo sul paesaggio dentro le mura). Il workshop dell’accademia americana è un modo per arrivare fuori Roma, passare l’oceano, dentro le mura.
Marco Delogu